Marco e Lia, due del Comitato Beni Comuni ValPellice, hanno scritto questo articolo per la rivista NUNATAK, rivista di storie, culture e lotte della montagna. L’articolo apparirà nel numero che uscirà ad ottobre 2015.
Trasformare l’acqua in denaro: mini idrolettrico e mega speculazione.
Scriviamo di un problema che riguarda la valle in cui viviamo, la Val Pellice, in Piemonte, ma che è comune a tutte le vallate alpine e più in generale, allargando gli orizzonti, non è esagerato dire che riguarda tutto il mondo. Molti infatti stanno affrontando il tema dell’oro blu, l’acqua, e chi analizza la questione a livello globale ipotizza che le prossime guerre (mondiali?) saranno proprio per l’approvvigionamento alle risorse idriche.
Qui in occidente, nella docilità della vita cui ci hanno abituati, non hanno avuto finora bisogno di fare guerre per intubarsi fiumi e torrenti, e trasformare l’acqua in denaro.
Il problema che trattiamo non riguarda l’acqua potabile, ma il suo sfruttamento per produrre energia elettrica. Nel territorio italiano, l’acqua che valeva la pena utilizzare per produrre energia idroelettrica è già stata ampiamente sfruttata con dighe e invasi per alimentare impianti importanti. Tutto l’idroelettrico di grossa portata è già stato realizzato e l’Italia è un paese che produce molta energia di questo tipo. Rimangono le briciole, ovvero tutti i piccoli corsi d’acqua, sui quali grava la minaccia del mini idroelettrico, impianti con una produzione inferiore a 1 MW (megawatt): “tra il 2009 e il 2013 il numero di impianti di potenza inferiore a 1 MW è aumentato di 673 unità (da 1270 a 1943) con un incremento in termini di numerosità pari a circa il 53% ma con un aumento di potenza installata (rispetto al totale dell’idroelettrico nel 2009) di solo lo 0,8%! Sono in molti ormai a chiedersi se questo impiego di risorse pubbliche sia ragionevole e porti ad effettivi benefici ambientali, oppure se stia solo alimentando un grande processo speculativo, che crea molti impatti e pochi benefici in termini strategici.” Citato dal bollettino di settembre 2014 del CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, un documento molto preciso per gli aspetti tecnici e legislativi legati a questo tipo di impianti.
Anche in val Pellice, pur esistendo già una quindicina di centraline idroelettriche, c’è un forte aumento di richieste per costruirne di nuove. Piccoli impianti, con una modesta produzione di energia elettrica, che però rischiano di avere un grosso impatto sulla valle e sulla nostra vita.
Si tratta di derivazioni con lunghe tubazioni che alimentano piccole centrali, sottraendo l’acqua ai torrenti che, nei mesi estivi e nei periodi di siccità, restano spesso privi di una portata sufficiente. In teoria dovrebbe essere lasciato nel torrente un “deflusso minimo vitale” di acqua, ma questo non sempre avviene, con conseguente moria di pesci, danni alla fauna e alla vegetazione e un ambiente desolato dove prima si ammiravano cascate e pozze d’acqua profonde.
Nell’immaginario collettivo l’energia idroelettrica viene considerata “pulita” e “verde”, o in qualche modo, una cosa buona, grazie al fatto che si sfrutta una fonte rinnovabile, l’acqua.
Anche la parola “mini” associata a idroelettrico, fa pensare a qualcosa di piccolo e grazioso, e subito si stabilisce l’equazione mini impianto – mini impatto ambientale.
Le cose purtroppo non stanno così.
Esaminando su una cartina la situazione dei fiumi della val Pellice, ci rendiamo conto che esistono già una quindicina di centraline, e le richieste di nuove derivazione sono anch’esse una quindicina. Se dovessero venire approvate e messe in produzione, la situazione apparirebbe disastrosa: quasi tutto il Pellice e buona parte dei suoi affluenti risulterebbero intubati. Ci sarebbe la scomparsa irrimediabile di tratti di fiume inalterati. La realtà è che la somma di tanti impianti, senza soluzione di continuità, è un grosso danno, e che mini impianto non vuole affatto dire mini impatto ambientale.
Citiamo, sempre dal documento del CIRF: “in generale non ha alcun fondamento l’assunzione secondo cui a piccolo impianto corrisponda un piccolo impatto, in quanto quest’ultimo è dipendente da molte variabili quali le caratteristiche intrinseche del corpo idrico, il contesto ambientale complessivo, gli effetti combinati di altri fattori di pressione, le misure di mitigazione adottate ecc.; quindi un piccolo impianto localizzato in un corso d’acqua di piccole dimensioni, molto sensibile e poco resiliente può essere più impattante sul corso d’acqua stesso rispetto a un grande impianto ben gestito in un corso d’acqua più resiliente.”
La politica delle istituzioni è assolutamente miope, in quanto non esiste un progetto globale relativo all’uso dell’acqua, per cui può accadere che un comune autorizzi delle centraline senza tenere conto di ciò che accade a valle o a monte, e in generale, non c’è interesse a mantenere dei corsi d’acqua inalterati.
Il nocciolo della questione è che tutta questa spinta a costruire impianti di tipo mini idrolettrico sia dovuta agli incentivi statali per chi produce questo tipo di energia. Ovvero, lo stato premia i privati comprandogli l’energia a prezzo molto più alto rispetto alle altre produzioni e questo è ciò che si chiama incentivo, pagato dai consumatori con un aggravio sul costo della bolletta. Oltre al danno, la beffa!
Questo stesso meccanismo è quello che prima veniva applicato al fotovoltaico e che ha fatto “fiorire” campi di pannelli solari in ogni dove. Avete notato che ora nessuno li costruisce più? Bene. È proprio perché non ci sono più gli incentivi su quel settore che la speculazione non è più così redditizia.
Torniamo all’idroelettrico, e al suo momento di gloria.
Il privato richiede la concessione per lo sfruttamento delle acque (che di solito dura vent’anni, poi può essere rinnovata o meno) e, se gli viene concessa, fornisce al comune interessato una somma di denaro generalmente ridicola rispetto a quanto guadagnerà, grazie agli incentivi statali, con questi impianti.
I comuni interessati finora si sono sempre rivelati proni alle richieste dei privati, per nulla inclini a reclamare un guadagno maggiore e un rispetto severo dei parametri per la tutela della vita del fiume. Forse perché pochi soldi sono meglio che niente?
Oltre allo sfruttamento idroelettrico c’è sempre da tenere conto che una parte di acqua viene usata per irrigare i campi, e quindi solitamente a giugno-luglio il Pellice va in secca. Questo lo si può facilmente vedere dal ponte di Bibiana in giù, dove dal Pellice partono delle derivazioni irrigue verso Cavour e Campiglione. A Villar Pellice un rinnovamento dell’impianto irriguo nasconde la costruzione di un nuovo impianto idroelettrico, infatti da questa centralina vengono prelevati dal Pellice 30 litri d’acqua al secondo per l’irriguo e 110 litri d’acqua per l’idroelettrico. Mentre l’irriguo lo si preleva solo quando serve, nella stagione calda e secca, il prelevamento idroelettrico è per tutto l’anno. Questa manovra ha fatto sì che l’irriguo diventasse un vero e proprio cavallo di Troia per l’idroelettrico, e soprattutto ha raccolto il consenso di agricoltori e allevatori.
Ora, non per fare quelli a cui non va mai bene niente, ma anche la questione degli impianti irrigui in sé pone dei problemi, riflessioni che già sono state fatte anche su questa stessa rivista, quindi vi faremo solo accenno. Ci riferiamo al fatto che i grossi impianti irrigui, in pianura e all’imbocco delle valli, servono principalmente per il mais che, coltivato in monocultura per ettati ed ettari, esaurisce la terra, richiede massicci usi di diserbanti, fertilizzanti, concimi chimici, per poi andare ad ingrassare gli animali negli allevamenti intensivi, altro luogo di sfruttamento. Più in sù nelle valli le irrigazioni servono magari a fare un fieno in più, e non è poco, ma a che prezzo? Vogliamo veramente rincorrere ancora ed ancora la chimera di una crescita senza fine?!
A fronte di questa situazione ci siamo ritrovati fra diversi abitanti della valle e abbiamo iniziato a informarci e discutere assieme sullo stato delle cose che non ci piacciono. È nato un comitato, il “comitato beni comuni val Pellice”. Per prima cosa abbiamo prodotto una cartina che illustra molto chiaramente la situazione della valle, con le centraline esistenti e le richieste in corso, accompagnata da un volantino che abbiamo ampiamente diffuso. A inizio luglio abbiamo fatto una serata pubblica dove sono stati esposti questi temi, e ne sono venute fuori diverse domande e punti da approfondire. Tutto sta proseguendo con delle passeggiate sui luoghi dello sfruttamento idroelettrico, ovvero quei posti dove sono in progetto o ci sono già delle centraline.
Queste passeggiate ci sono utili per vedere, sentire, toccare, ascoltare quello di cui stiamo parlando, perché non restino solo discorsi e sono state una situazione conviviale e piacevole per confrontarsi, sia tra di noi, sia con gli abitanti dei luoghi che vengono sfruttati. Ci siamo resi conto, inoltre, di cose a cui inizialmente non avevamo pensato, ad esempio, oltre agli altri danni, all’inquinamento acustico che producono le turbine delle centraline, funzionanti, salvo guasti, 24 ore su 24 per tutto il corso dell’anno.
Le domande che sorgono assieme al sorgere di un comitato sono molte, e la questione sembra coivolgere diversi aspetti, da quelli più istituzionali, che riguardano la gestione del territorio e delle risorse, fino ad aspetti più profondi.
Ci siamo ad esempio chiesti perché nessun comune abbia provato a pensare di costruire autonomamente un impianto idroelettrico, in modo da gestirsi e reinvestire sul territorio gli incassi, e da rendersi un pochino più indipendente dai lacci del centralismo della “città metropolitana”. Forse nessuno ha questi interessi, forse non ci sono soldi… sarebbe interessante continuare a discuterne.
La radice di tutte le questioni potrebbe essere: che rapporto vogliamo avere con il territorio in cui viviamo? È qui che si gioca la questione ambientale, finché il mondo attorno viene percepito come separato, è più facile che venga l’idea di sfruttarlo. Ma se iniziassimo a percepirci come parte di un tutto, come abitanti di queste montagne alla stessa stregua degli altri mammiferi, pennuti, squamati, delle piante, delle rocce, sarebbe certo molto diverso. Come ricomporre questa frattura? Ci rendiamo conto che è una parte di noi stessi a essere trasformata in merce?