Per una società aperta

Quello che sta succedendo in queste settimane in Europa è qualcosa di storico. Da Ventimiglia all’Eurotunnel a Calais, dall’Ungheria alla Macedonia, i confini vengono attraversati, violati, contesi, da migliaia di perone in fuga dalla guerra, dalla miseria, in cerca di un futuro migliore.

L’Europa risponde in maniera contraddittoria: si costruiscono muri e si arrestano i migranti in Ungheria, si chiude la frontiera danese, la Germania apre a 500.000 profughi siriani.
Il mondo è arrivato anche in Val Pellice: a Villar sessanta migranti sono ospitati alla Crumière. Altri sono a Luserna e a Torre.

Di fronte a questi eventi straordinari ognuno di noi deve prendere posizione.
Molti europei hanno saputo accogliere i migranti: i cittadini austriaci e ungheresi hanno fatto la spola tra la stazione di Budapest e la frontiera austriaca, aiutando i migranti che attraversavano a piedi l’Ungheria, e disobbedendo alle indicazioni del governo xenofobo ungherese.

Alla stazione di Monaco di Baviera e in Germania la solidarietà delle persone comuni nei confronti dei rifugiati è impressionante.
In Islanda migliaia di persone hanno dato disponibilità ad accogliere dei migranti a casa loro.
Europei per una società aperta al mondo da una parte,
chi costruisce muri, stende filo spinato, agita la paura, dall’altra.
Sta a noi, a ciascuno di noi, scegliere da che parte stare!

Accoglienza diffusa

Un’altra iniziativa in solidarietà ai richiedenti asilo:

PER UN PROGETTO DI ACCOGLIENZA DIFFUSA DEI MIGRANTI IN VAL PELLICE.

APRIAMO LE NOSTRE CASE!

In questa estate abbiamo assistito a qualcosa di straordinario, una ondata massiccia di arrivi di rifugiati, migranti, richiedenti asilo, che hanno attraversato le frontiere e i mari, scavalcando fili spinati e muri, percorrendo a piedi centinaia di chilometri, pur di sperare in un futuro migliore. Abbiamo pianto nel vedere la foto del bambino siriano annegato sulle spiagge turche In Europa c’è chi ha costruito muri e chi ha scelto di dare rifugio a chi scappa dalla guerra in Siria. Le associazioni, le chiese hanno messo in piedi progetti di accoglienza, come è successo ad esempio a Villar Pellice, mentre le inchieste dimostravano che altri speculavano e si arricchivano addirittura sui migranti. Papa Francesco ha chiesto di aprire le parrocchie ai migranti, chiedendo ad ogni parrocchia di accogliere 5 migranti. In molti si stanno muovendo. Tocca anche a noi fare qualcosa. Noi crediamo che questa situazione, che cambierà il volto dell’Europa, non possa essere solo delegata alla gestione degli stati o dei professionisti dell’accoglienza, ma che sia anche un’occasione straordinaria di incontro tra persone. Attiviamo dal basso un progetto di accoglienza diffusa dei migranti, che si integri con i progetti ufficiali, come già sperimentato in altri comuni. Stiamo quindi raccogliendo le disponibilità di persone e famiglie della Val Pellice ad accogliere a casa propria un richiedente asilo che è attualmente ospite nei progetti di accoglienza in Valle, per dare continuità a questi progetti, oppure di mettere a disposizione un alloggio vuoto e sfitto.

Il mondo è arrivato a Villar Pellice

In seguito all’arrivo a Villar Pellice di 60 richiedenti asilo, e in seguito a tutti gli avvenimenti correlati, abbiamo scritto questo volantino, ricordando che l’accoglienza per noi è un bene comune, come l’acqua, l’aria, le nostre montagne e tutto quello che ci fa vivere e condividere le nostre vite assieme agli altri.

Il mondo è arrivato a Villar Pellice

Sono arrivati i primi migranti. Non hanno certo scelto loro di venire a Villar, e di venirci in sessanta. Non l’ha scelto il comune. Siamo un po’ disorientati noi come lo sono certo loro.

Per mesi abbiamo visto in ogni telegiornale le immagini dei migranti che dall’Africa, dalla Siria, dal Pakistan, dall’Afghanistan cercano in ogni modo di arrivare in Europa per provare a vivere una vita migliore. Abbiamo visto i migranti aggrappati agli scogli di Ventimiglia, quelli che cercavano di attraversare il tunnel sotto la Manica a Calais, varcare il filo spinato in Macedonia. Abbiamo visto i barconi dalla Libia e le file di bare a Lampedusa.

Adesso il mondo che abbiamo visto in televisione è arrivato qui. E non possiamo far finta di niente.

I migranti sono qui come in altri cento posti d’Italia. Come in altri Comuni della valle, a Torre, a Luserna. Hanno le stesse facce e le stesse storie di quelli che nelle campagne di Saluzzo raccolgono la frutta. Gli stessi che raccolgono i pomodori in Campania e in Puglia, le arance a Rosarno.

Dopo il primo, e comprensibile, momento di disorientamento, dobbiamo decidere cosa fare? Possiamo decidere di accoglierli bene, di farci prendere dalla curiosità per questo mondo che è arrivato nella nostra Valle, vedere in quelle persone degli uomini, provare a salutarli, a conoscerli, a parlarci. A trovare insieme semplici regole di convivenza. Inventandoci piuttosto una lingua con cui comunicare. Aiutando, per come possiamo, lo sforzo della Diaconia. Cercando di superare diffidenze e problemi.

In questi casi si dice che sia meglio costruire ponti e non alzare muri. Conviene a tutti.

Ci può aiutare ricordare che anche noi siamo andati per secoli altrove a cercare fortuna? Ricordarci che quando avevamo la guerra in casa, nel 1687, siamo andati noi a Ginevra, nei cantoni protestanti svizzeri, in Germania, come rifugiati, e lì accolti a migliaia? Se questo pensiero ci aiuta, bene.

È stato un bene che quelle scritte ostili contro i migranti siano state subito corrette, è stato un bene che i primi migranti siano stati accolti con gentilezza alla Crumiere, è bene che sindaco e giunta recuperino il tempo perso con la loro assenza.

Adesso spetta a ognuno di noi aiutarci per far riuscire al meglio questa impresa, con la nostra umanità e la nostra curiosità, aiutando i dubbiosi, rinforzando gli impauriti, sollecitando gli indifferenti, isolando con fermezza ogni manifestazione di razzismo.

Sì all’accoglienza

No al razzismo

articolo su NUNATAK

Marco e Lia, due del Comitato Beni Comuni ValPellice, hanno scritto questo articolo per la rivista NUNATAK, rivista di storie, culture e lotte della montagna. L’articolo apparirà nel numero che uscirà ad ottobre 2015.

Trasformare l’acqua in denaro: mini idrolettrico e mega speculazione.

Scriviamo di un problema che riguarda la valle in cui viviamo, la Val Pellice, in Piemonte, ma che è comune a tutte le vallate alpine e più in generale, allargando gli orizzonti, non è esagerato dire che riguarda tutto il mondo. Molti infatti stanno affrontando il tema dell’oro blu, l’acqua, e chi analizza la questione a livello globale ipotizza che le prossime guerre (mondiali?) saranno proprio per l’approvvigionamento alle risorse idriche.
Qui in occidente, nella docilità della vita cui ci hanno abituati, non hanno avuto finora bisogno di fare guerre per intubarsi fiumi e torrenti, e trasformare l’acqua in denaro.
Il problema che trattiamo non riguarda l’acqua potabile, ma il suo sfruttamento per produrre energia elettrica. Nel territorio italiano, l’acqua che valeva la pena utilizzare per produrre energia idroelettrica è già stata ampiamente sfruttata con dighe e invasi per alimentare impianti importanti. Tutto l’idroelettrico di grossa portata è già stato realizzato e l’Italia è un paese che produce molta energia di questo tipo. Rimangono le briciole, ovvero tutti i piccoli corsi d’acqua, sui quali grava la minaccia del mini idroelettrico, impianti con una produzione inferiore a 1 MW (megawatt): “tra il 2009 e il 2013 il numero di impianti di potenza inferiore a 1 MW è aumentato di 673 unità (da 1270 a 1943) con un incremento in termini di numerosità pari a circa il 53% ma con un aumento di potenza installata (rispetto al totale dell’idroelettrico nel 2009) di solo lo 0,8%! Sono in molti ormai a chiedersi se questo impiego di risorse pubbliche sia ragionevole e porti ad effettivi benefici ambientali, oppure se stia solo alimentando un grande processo speculativo, che crea molti impatti e pochi benefici in termini strategici.” Citato dal bollettino di settembre 2014 del CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, un documento molto preciso per gli aspetti tecnici e legislativi legati a questo tipo di impianti.

Anche in val Pellice, pur esistendo già una quindicina di centraline idroelettriche, c’è un forte aumento di richieste per costruirne di nuove. Piccoli impianti, con una modesta produzione di energia elettrica, che però rischiano di avere un grosso impatto sulla valle e sulla nostra vita.
Si tratta di derivazioni con lunghe tubazioni che alimentano piccole centrali, sottraendo l’acqua ai torrenti che, nei mesi estivi e nei periodi di siccità, restano spesso privi di una portata sufficiente. In teoria dovrebbe essere lasciato nel torrente un “deflusso minimo vitale” di acqua, ma questo non sempre avviene, con conseguente moria di pesci, danni alla fauna e alla vegetazione e un ambiente desolato dove prima si ammiravano cascate e pozze d’acqua profonde.
Nell’immaginario collettivo l’energia idroelettrica viene considerata “pulita” e “verde”, o in qualche modo, una cosa buona, grazie al fatto che si sfrutta una fonte rinnovabile, l’acqua.
Anche la parola “mini” associata a idroelettrico, fa pensare a qualcosa di piccolo e grazioso, e subito si stabilisce l’equazione mini impianto – mini impatto ambientale.
Le cose purtroppo non stanno così.
Esaminando su una cartina la situazione dei fiumi della val Pellice, ci rendiamo conto che esistono già una quindicina di centraline, e le richieste di nuove derivazione sono anch’esse una quindicina. Se dovessero venire approvate e messe in produzione, la situazione apparirebbe disastrosa: quasi tutto il Pellice e buona parte dei suoi affluenti risulterebbero intubati. Ci sarebbe la scomparsa irrimediabile di tratti di fiume inalterati. La realtà è che la somma di tanti impianti, senza soluzione di continuità, è un grosso danno, e che mini impianto non vuole affatto dire mini impatto ambientale.
Citiamo, sempre dal documento del CIRF: “in generale non ha alcun fondamento l’assunzione secondo cui a piccolo impianto corrisponda un piccolo impatto, in quanto quest’ultimo è dipendente da molte variabili quali le caratteristiche intrinseche del corpo idrico, il contesto ambientale complessivo, gli effetti combinati di altri fattori di pressione, le misure di mitigazione adottate ecc.; quindi un piccolo impianto localizzato in un corso d’acqua di piccole dimensioni, molto sensibile e poco resiliente può essere più impattante sul corso d’acqua stesso rispetto a un grande impianto ben gestito in un corso d’acqua più resiliente.”
La politica delle istituzioni è assolutamente miope, in quanto non esiste un progetto globale relativo all’uso dell’acqua, per cui può accadere che un comune autorizzi delle centraline senza tenere conto di ciò che accade a valle o a monte, e in generale, non c’è interesse a mantenere dei corsi d’acqua inalterati.

Il nocciolo della questione è che tutta questa spinta a costruire impianti di tipo mini idrolettrico sia dovuta agli incentivi statali per chi produce questo tipo di energia. Ovvero, lo stato premia i privati comprandogli l’energia a prezzo molto più alto rispetto alle altre produzioni e questo è ciò che si chiama incentivo, pagato dai consumatori con un aggravio sul costo della bolletta. Oltre al danno, la beffa!
Questo stesso meccanismo è quello che prima veniva applicato al fotovoltaico e che ha fatto “fiorire” campi di pannelli solari in ogni dove. Avete notato che ora nessuno li costruisce più? Bene. È proprio perché non ci sono più gli incentivi su quel settore che la speculazione non è più così redditizia.
Torniamo all’idroelettrico, e al suo momento di gloria.
Il privato richiede la concessione per lo sfruttamento delle acque (che di solito dura vent’anni, poi può essere rinnovata o meno) e, se gli viene concessa, fornisce al comune interessato una somma di denaro generalmente ridicola rispetto a quanto guadagnerà, grazie agli incentivi statali, con questi impianti.

I comuni interessati finora si sono sempre rivelati proni alle richieste dei privati, per nulla inclini a reclamare un guadagno maggiore e un rispetto severo dei parametri per la tutela della vita del fiume. Forse perché pochi soldi sono meglio che niente?
Oltre allo sfruttamento idroelettrico c’è sempre da tenere conto che una parte di acqua viene usata per irrigare i campi, e quindi solitamente a giugno-luglio il Pellice va in secca. Questo lo si può facilmente vedere dal ponte di Bibiana in giù, dove dal Pellice partono delle derivazioni irrigue verso Cavour e Campiglione. A Villar Pellice un rinnovamento dell’impianto irriguo nasconde la costruzione di un nuovo impianto idroelettrico, infatti da questa centralina vengono prelevati dal Pellice 30 litri d’acqua al secondo per l’irriguo e 110 litri d’acqua per l’idroelettrico. Mentre l’irriguo lo si preleva solo quando serve, nella stagione calda e secca, il prelevamento idroelettrico è per tutto l’anno. Questa manovra ha fatto sì che l’irriguo diventasse un vero e proprio cavallo di Troia per l’idroelettrico, e soprattutto ha raccolto il consenso di agricoltori e allevatori.

Ora, non per fare quelli a cui non va mai bene niente, ma anche la questione degli impianti irrigui in sé pone dei problemi, riflessioni che già sono state fatte anche su questa stessa rivista, quindi vi faremo solo accenno. Ci riferiamo al fatto che i grossi impianti irrigui, in pianura e all’imbocco delle valli, servono principalmente per il mais che, coltivato in monocultura per ettati ed ettari, esaurisce la terra, richiede massicci usi di diserbanti, fertilizzanti, concimi chimici, per poi andare ad ingrassare gli animali negli allevamenti intensivi, altro luogo di sfruttamento. Più in sù nelle valli le irrigazioni servono magari a fare un fieno in più, e non è poco, ma a che prezzo? Vogliamo veramente rincorrere ancora ed ancora la chimera di una crescita senza fine?!

A fronte di questa situazione ci siamo ritrovati fra diversi abitanti della valle e abbiamo iniziato a informarci e discutere assieme sullo stato delle cose che non ci piacciono. È nato un comitato, il “comitato beni comuni val Pellice”. Per prima cosa abbiamo prodotto una cartina che illustra molto chiaramente la situazione della valle, con le centraline esistenti e le richieste in corso, accompagnata da un volantino che abbiamo ampiamente diffuso. A inizio luglio abbiamo fatto una serata pubblica dove sono stati esposti questi temi, e ne sono venute fuori diverse domande e punti da approfondire. Tutto sta proseguendo con delle passeggiate sui luoghi dello sfruttamento idroelettrico, ovvero quei posti dove sono in progetto o ci sono già delle centraline.
Queste passeggiate ci sono utili per vedere, sentire, toccare, ascoltare quello di cui stiamo parlando, perché non restino solo discorsi e sono state una situazione conviviale e piacevole per confrontarsi, sia tra di noi, sia con gli abitanti dei luoghi che vengono sfruttati. Ci siamo resi conto, inoltre, di cose a cui inizialmente non avevamo pensato, ad esempio, oltre agli altri danni, all’inquinamento acustico che producono le turbine delle centraline, funzionanti, salvo guasti, 24 ore su 24 per tutto il corso dell’anno.
Le domande che sorgono assieme al sorgere di un comitato sono molte, e la questione sembra coivolgere diversi aspetti, da quelli più istituzionali, che riguardano la gestione del territorio e delle risorse, fino ad aspetti più profondi.
Ci siamo ad esempio chiesti perché nessun comune abbia provato a pensare di costruire autonomamente un impianto idroelettrico, in modo da gestirsi e reinvestire sul territorio gli incassi, e da rendersi un pochino più indipendente dai lacci del centralismo della “città metropolitana”. Forse nessuno ha questi interessi, forse non ci sono soldi… sarebbe interessante continuare a discuterne.

La radice di tutte le questioni potrebbe essere: che rapporto vogliamo avere con il territorio in cui viviamo? È qui che si gioca la questione ambientale, finché il mondo attorno viene percepito come separato, è più facile che venga l’idea di sfruttarlo. Ma se iniziassimo a percepirci come parte di un tutto, come abitanti di queste montagne alla stessa stregua degli altri mammiferi, pennuti, squamati, delle piante, delle rocce, sarebbe certo molto diverso. Come ricomporre questa frattura? Ci rendiamo conto che è una parte di noi stessi a essere trasformata in merce?

Passeggiata Idroelettrica 3

Continuano le passeggiate del Comitato Beni Comuni Val Pellice

La pioggia e le nuvole non hanno scoraggiato un folto gruppo di difensori dei torrenti e dei beni comuni  della Val Pellice, che sabato 1° agosto sono andati ad osservare il corso del torrente Pellice a monte di Bobbio, fra le borgate Payant e Malpertus: in questo tratto infatti è stata richiesta una derivazione a scopo idroelettrico, che molto probabilmente toglierebbe acqua a molte cascate e toumpi, e anche alla bella piscina naturale sotto il “ponte di Napoleone” di Malpertus (in realtà il ponte venne costruito già nel XVII secolo).

Per sabato 22 agosto il Comitato Beni Comuni propone un’altra passeggiata, questa volta lungo il torrente Angrogna: l’appuntamento è a Predeltorno, alle ore 9.00, nel parcheggio presso il ponte di Barmafredda.

passeggiata idroelettrica 3

Pirogassificatore a Pomaretto

Dal comitato NO PIRO di Pomaretto riceviamo e volentieri divulghiamo con piena solidarietà:

A Pomaretto è in progetto la realizzazione di un pirogassificatore della potenza di 200 kWe, che sorgerà nella zona del mattatoio comunale. In breve, in impianti di questo tipo la biomassa (in questo caso cippato di legno) viene trasformata in una miscela di gas (syngas) che, dopo complicati processi di depurazione a stadi, è usata per alimentare grossi motori a combustione interna cogenerativi. Si tratta di impianti il cui scopo primario è produrre corrente elettrica (i motori sono abbinati ad alternatori), attivi tutto l’anno con grande consumo di legno vergine, inefficienti nella produzione di calore che altro non è che un semplice sottoprodotto d’impianto (viene parzialmente recuperato dal circuito di raffreddamento dei motori stessi e/o dai gas di scarico, per poi essere immesso in una rete di teleriscaldamento e venduto). Tecnicamente ancora non maturi, i pochi pirogassificatori oggi esistenti in Italia sono soggetti a frequenti guasti e malfunzionamenti.

Per entrare nel merito della questione, occorre innanzitutto notare che l’impianto rappresenterà una nuova sorgente di emissione continua in atmosfera, che non sostituirà quelle di riscaldamenti domestici convenzionali poiché affiancherà semplicemente la centrale termica a metano che alimenta l’esistente rete di teleriscaldamento, per la quale non è prevista alcuna estensione rispetto ad oggi. Ciò al prezzo di un nuovo impianto che sarà:

  • molto più complicato da gestire;
  • in funzione a pieno regime 8.000 ore all’anno, per i prossimi 25 anni;
  • con emissioni fortemente dipendenti dalla complessa ottimizzazione d’impianto e, soprattutto, dall’efficienza (e costanza nel tempo) del sistema di abbattimento catalitico degli inquinanti allo scarico.

 

Sotto queste premesse, è chiaro che il progetto comporterà vantaggi certi per un solo soggetto: la ditta privata che lo realizzerà e gestirà, il cui investimento sarà ben remunerato dalla vendita al GSE (Gestore dei Servizi Energetici) della corrente elettrica prodotta a prezzi molto appetibili, in ragione dell’attuale incentivazione pubblica sui kW cosiddetti “verdi”: il vero motore che spinge la realizzazione di queste centrali.
Alla popolazione resteranno invece gli aspetti negativi, altrettanto certi: emissioni in atmosfera (per impianti di questo tipo e potenza non è peraltro previsto, per legge, alcun controllo in continuo delle emissioni da parte dell’ARPA, bensì, al massimo, un semplice regime di autocontrollo da parte del gestore stesso dell’impianto); odori (cippato umido stoccato e processo di essiccazione); traffico veicolare pesante nelle vicinanze di scuole e abitazioni; rumore. Aspetti negativi cui una modesta compensazione economica (un po’ di eventuale risparmio sul teleriscaldamento) non può a nostro parere sopperire. Riesce in ogni caso difficile ipotizzare risparmi sostanziali e generalizzati sul riscaldamento per tutte le utenze attualmente connesse alla rete grazie alla realizzazione del pirogassificatore, neppure se il calore fosse regalato (cosa non possibile). Ciò per una semplice questione di potenze in gioco, il pirogassificatore ha infatti una potenza termica che è pari a meno del 10% di quella nominale dell’attuale centrale a metano cui si intende collegarlo: poco più di 200 kW, contro i 2.700 kW (dati PAES Pomaretto) di quest’ultima. I conti son presto fatti.

La qualità dell’aria, la salute dei cittadini

A questo proposito vorremmo semplicemente riportare quanto emerso nella seduta pubblica del 12 Dicembre 2014 tenutasi a Pomaretto, durante la quale alcuni medici presenti hanno spiegato che, malgrado i filtri, l’emissione di nano-particelle impercettibili non potrà essere in nessun modo scongiurata. Vi sono evidenze, spiegano i medici dell’ ISDE (Medici per l’Ambiente), del fatto che l’esposizione prolungata nel tempo a concentrazioni anche piccole di particolato sottile può incrementare l’insorgere di alcune patologie, soprattutto a carico dell’apparato respiratorio e cardiovascolare. Inoltre, trattandosi di un impianto in cui avviene pur sempre una combustione, un pirogassificatore emette numerosi altri inquinanti a parte le polveri. I principali: monossido di carbonio (CO, presente in grande quantità già nella miscela di gas prodotta dal processo di gassificazione del legno, tossico, può causare sonnolenza ed emicrania), ossidi di azoto e di zolfo (NOx e SOx, irritanti per le vie respiratorie), idrocarburi volatili incombusti (tra i quali gli IPA, Idrocarburi Policiclici Aromatici, alcuni dei quali sospetti cancerogeni).

L’impatto sui boschi

Stando a quanto affermato da Amministrazione comunale e ditta proponente, il pirogassificatore prevede di consumare oltre 12.000 quintali di legno cippato a grado di umidità naturale all’anno, da reperire dalle risorse boschive locali. Una quantità che ben poco avrà a che fare con una semplice “pulizia dei boschi”: si tratterà di un vero e proprio taglio industriale. Le stesse stime della disponibilità di biomassa su cui sono stati basati i piani di approvvigionamento per la centrale appaiono decisamente ottimistiche, fatte considerando indistintamente proprietà comunali e private delle intere Valli Germanasca e Chisone, i cui fragili versanti mal sopporterebbero operazioni di taglio su larga scala e le attività connesse. Il tutto in un periodo in cui i tagli boschivi sono già in forte ripresa in ragione dell’aumento della richiesta di legname a scopo focatico, che in questi ultimi anni è andato crescendo e a cui l’ingente approvvigionamento dovuto al fabbisogno della centrale andrà ad aggiungersi e competere. Con prevedibili effetti negativi a livello paesaggistico e naturalistico.

Al primo pirogassificatore, ne seguirà un altro

Il pirogassificatore che verrà realizzato nella zona del mattatoio di Pomaretto è solo il primo dei due previsti dal progetto complessivo: è infatti in ipotesi la realizzazione, a seguire, di un secondo impianto del medesimo tipo, ma questa volta ben 5 volte più grande (1 MWe contro i 200 kWe del primo), che sorgerebbe nella zona della macerazione dell’ex-Filseta, all’Inverso di Perosa Argentina. Stante quanto detto per l’impianto del mattatoio, è facile dedurre che le criticità relative a questo secondo impianto saranno ben maggiori, in ragione delle dimensioni quintuplicate. Ciò soprattutto per quanto riguarda gli effetti sulla qualità dell’aria nelle zone di Perosa Argentina e Pomaretto e sull’ambiente boschivo delle Valli: fatte le debite proporzioni, per alimentare questa seconda centrale servirebbero come minimo 60-70.000 quintali di legno vergine ogni anno. Con la pretesa di reperirle in zona. I forti dubbi che già sussistono relativamente alla disponibilità del legno per alimentare la prima centrale con le sole risorse locali diverrebbero certezze, come certo sarebbe l’impatto tutt’altro che sostenibile.

 

Per questi motivi, la raccolta firme a sostegno della campagna di sensibilizzazione contro la realizzazione del progetto pirogassificatori continua.

Contatti: nopiro_pomaretto@libero.it

articolo su Riforma 2

Riproponiamo un altro articolo da Riforma, questa volta a firma di Diego Meggiolaro.

Per molti sono una risorsa, per altri depredano un bene comune, lasciandone le briciole.

Nel corso degli anni sono state costruite più di dieci centraline idroelettriche sul Pellice e i suoi affluenti. Si tratta di derivazioni con lunghe tubazioni che alimentano piccole centrali, sottraendo l’acqua ai torrenti che, soprattutto nei mesi estivi o di particolare siccità, rischiano di restare senza una portata sufficiente.

Secondo la legge dovrebbe essere garantito il Deflusso Minimo Vitale (Dmv), ma «questo non sempre succede e genera moria dei pesci e della vita dei fiumi, del fiume stesso, crea danni permanenti alla fauna, alla vegetazione, e genera un ambiente desolato», avvertono dal Comitato beni comuni val Pellice.

Oltre alle centraline esistenti nel bacino fluviale del Pellice, sul sito della Città Metropolitana di Torino si legge di ulteriori progetti per centraline e impianti futuri. Un’altra decina di progetti di impianti avanzati da alcune ditte private: Enel Produzione, Vimel, Acquachiara, Energia, Verde Energy, Green Power, S.c.S., Pixel, Consorzio irriguo Val Pellice Cavourese. Tre anni fa si è parlato molto del caso di Angrogna.

Quasi tutti i comuni della valle verrebbero interessati da questa nuova ondata di intubazione dei corsi d’acqua a fini privati. A partire dall’alta valle a Bobbio Pellice, sul Pellice appena uscito dalla conca del Prà, nel suo primo affluente importante, il rio Crusenna, e nel torrente Cruello, che già adesso è in secca e non riesce ad arrivare al Pellice; e poi nel rio Guicciard e nella Comba dei Carbonieri, che già è interessata dalla presenza di una centralina. Seguono Villar Pellice con un progetto nella comba Liussa e Torre Pellice con un progetto al Molino di Santa Margherita.

Nella maggioranza dei casi si tratta di piccole centraline di circa 50 Kw di potenza che, ipotizzando un utilizzo a pieno regime, in un anno possono arrivare a produrre fino a 438 Mwh. Per legge, oggi, rimane in vigore il tetto di incentivi complessivi alle rinnovabili non fotovoltaiche di 5,8 miliardi ogni anno. La Gse, Gestore dei Servizi Energetici, è una società italiana per azioni controllata dal Ministero dell’economia che eroga gli incentivi statali ai produttori di energia rinnovabile. Secondo le tabelle governative l’incentivo è di 219 euro a Mwh prodotto per le centraline sotto i 50 Kw che in un anno possono quindi arrivare a circa 100mila euro lordi.

Ai Comuni quanto torna? 

Il gestore di un impianto idroelettrico deve corrispondere un’imposta, i canoni idrici, agli enti pubblici locali (Comuni, Province e Regioni interessate), per la concessione e lo sfruttamento di acque pubbliche con lo scopo di produzione di energia elettrica. I canoni idrici sono di tre tipi: il Canone Idrico di concessione (pagato da tutti gli impianti), il Sovracanone per gli Enti Rivieraschi e il Sovracanone per i Bacini Imbriferi Montani (BIM) che sono pagati solo dagli impianti di potenza superiore a 220 kW.

I canoni rivieraschi, fissati dalla Città Metropolitana di Torino in questo caso, vanno all’80% al comune e al 20% all’ex provincia.

A Bobbio Pellice è stata inaugurata una nuova centralina sul Pellice, proprio dietro gli impianti sportivi.

Fornisce acqua per irrigare i campi di Bobbio e Villar e produce elettricità per 49 Kw. E’ costata 1 milione di euro al Consorzio Irriguo Val Pellice – Cavourese e 400.000 euro sono arrivati dall’Unione europea dal fondo europeo agricolo di sviluppo rurale del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013.

«Per gli agricoltori di Bobbio e Villar la presa d’acqua dal Pellice è vitale e genererà un incremento della produzione di fieno e dell’economia locale», dice il sindaco di Bobbio Patrizia Geymonat. «Sono oltre 230 gli iscritti locali al consorzio. Noi a Bobbio lo scorso anno abbiamo incassato 16.700 euro di Canoni Rivieraschi dalle tre grandi vecchie centrali idroelettriche bobbiesi, le due sul Pellice per andare a Villanova e quella nella Comba dei Carbonieri». Corrispondono a due privati, la Quinto S.p.A. di Bobbio Pellice e la Girardi Energia S.r.l di Mattie.

Ai comuni, è dai Bim che arriva l’introito maggiore, ma il punto è che potrebbe essere ancora più grande. «Lo scorso anno dai Bim sono arrivati 74.000 euro, un decimo del bilancio comunale», continua Geymonat.

Il Bacino Imbrifero Montano del Pellice è un consorzio di Comuni che ridistribuisce i circa 600.000 euro di canoni che le imprese pagano. Raggruppa i comuni di Angrogna, Bibiana, Bobbio Pellice, Bricherasio, Fenestrelle, Inverso Pinasca, Luserna San Giovanni, Lusernetta, Massello, Perosa Argentina, Perrero, Pinasca, Pinerolo, Pomaretto, Porte, Pragelato, Prali, Pramollo, Prarostino, Rorà, Roure, Salza di Pinerolo, San Germano Chisone, San Secondo di Pinerolo, Sauze di Cesana, Sestriere, Usseaux, Torre Pellice, Villar Pellice, Villar Perosa. «Il 55% dei 600.000 mila euro va ai comuni che hanno le prese idroelettriche sul loro territorio: Pinasca, Angrogna, Bobbio e Villar Pellice per fare qualche esempio», spiega Igor Alessandro Bonino, presidente del Bim Pellice. «Dalle grosse centrali tipo quella di Villar Perosa, che ha la presa a Pinasca, una centrale da circa 1 Mw, ci arrivano 27.000 euro l’anno», continua Bonino. Potrebbe essere di più ma le grosse centrali pagano un Canone regionale che negli ultimi anni è aumentato di oltre il 100%.

«Se ci fosse un movimento generale delle amministrazioni per cambiare la norma nazionale e alzare questa percentuale, noi aderiremmo» dichiara il sindaco di Bobbio Pellice, che aggiunge «ci stanno continuando ad arrivare richieste per autorizzazioni a costruire piccole centraline sui nostri fiumi, due le abbiamo già bloccate perché ritenute non idonee».

L’ambiente

Il neonato Comitato Beni Comuni val Pellice si sta interrogando su quanto le prese idroelettriche danneggino la vita dei fiumi e rappresentino un introito troppo grande per i privati rispetto ai Comuni su un bene comune come l’acqua.

Sabato 18 luglio hanno organizzato una passeggiata a Bobbio Pellice per chiedere più attenzione da parte comunale ai temi ambientali ed economici che queste attività interessano. E per chiedere alle amministrazioni di non svendere i beni comuni. Si ritroveranno sabato 1 agosto per continuare a informare la popolazione.

Marco Baltieri, presidente dell’Associazione di Tutela degli Ambienti Acquatici e dell’Ittiofauna (Ataai): «Sono circa una cinquantina le persone che si stanno relazionando con il Comitato Beni Comuni val Pellice. Le conseguenze delle molte derivazioni, idroelettriche o agricole, che stanno uccidendo i nostri fiumi e la vita che vi si trova. Il Pellice dopo il ponte di Bibiana è ormai quasi completamente asciutto e le scorse settimane siamo andati a recuperare tutti i pesci morti a causa della secca. Ormai, ogni estate, facciamo questa operazione. A parte le derivazioni agricole che devono essere ripensate e riorganizzate, molte delle centrali idroelettriche nel bacino del Pellice sono vecchie, hanno oltre trent’anni e sono state costruite senza il rispetto di parametri ambientali, ora necessari. Se venissero realizzati tutti gli impianti ora in progetto il Pellice si trasformerebbe in una serie di tubi continui. Gli incentivi sono molto alti e i canoni troppo bassi, questo rende il business appetibile da parte dei privati. La forbice tra introiti e canoni versati ai comuni è troppo ampia e gli amministratori comunali dovrebbero lavorare per abbassarla il più possibile».”

Qua il link all’articolo.

Passeggiata Idroelettrica 2

Una seconda passeggiata è stata organizzata il per il 1 agosto, qua sotto il comunicato stampa e la locandina.

Comunicato stampa 24.07.2015

Il Comitato Beni Comuni Val Pellice organizza per sabato 1° agosto una passeggiata aperta a tutti, lungo i torrenti dove sono state progettate alcune derivazioni a scopo idroelettrico. L’appuntamento è alle ore 9.00 nella piazza di Bobbio Pellice, dotati di pranzo al sacco e calzature da escursione. Si seguirà il corso del torrente Pellice verso Malpertus, nel tratto in cui è stata progettata la  derivazione Payant. Poi si andrà a vedere il torrente Cruello, su cui è stato progettato un altro intervento di derivazione.

passeggiata idroelettrica 2